Giovanni Battista Maria Falcone è, tra i grandi fotografi siciliani, uno dei più apprezzati dalla critica. Basti, fra tutti, ricordare i nomi di G. Dorfles e Arturo C. Quintavalle.
Le sue immagini, sospese e atemporali, desertiche e silenti, rimandano alla densità metafisica dei quadri di G. De Chirico e di Felice Casorati. Delle sue mostre, due hanno segnato in modo ineguagliabile queste sue attitudini: la recentissima “The Waste Land”, ispirata ai versi di Eliot, e “Dalla Sicilia a Malta”.
Se compito dell’immagine è quella di rendere visibile una superficie – secondo la memorabile lezione di Susanne Langer – i cieli e le architetture di Falcone riescono, ancor più, a rendere visibile persino l’invisibile, come l’etere o il trascolorare di una nuvola, fra tenebre crescenti o in piena luce. Aperto come pochi alle epifanie della nostra isola, che consistono di luci, atmosfere, paesaggi, Falcone è motivato a ricercare con acribia, oltre la realtà, l’archetipo che la sovrasta, di cui anzi questa è, per lui, una pallida copia. Attualmente è docente a contratto in Storia e tecnica della fotografia presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo.